lunedì 9 maggio 2011

Amelia

                                                            avvia la musica (ne vale la pena) 

Amelia mangiava una mela mentre osservava i bambini che giocavano nel parco. Mangiava così lentamente che la mela stava diventando tutta marrone. 
Vestiva di giallo e, vista da lontano,  sembrava un puntino luminoso nel verde in quel caldo  giorno di Giugno. Ogni tanto le passavano vicino incuranti piccioni che cercavano briciole di cibo fra i fili d’erba. Teneva un vecchio libro sulle ginocchia, ma non pareva avesse molta voglia di leggerlo. I suoi occhi seguivano i bambini che correvano sullo scivolo e dondolavano sull’altalena. Aveva un’età indefinita, troppo giovane per essere vecchia e troppo vecchia per essere giovane. La vedevo spesso, sempre sulla stessa panchina, sempre con una mela e qualcosa da far finta di leggere. Ci salutavamo da lontano scambiandoci un formale sorriso. Portavo mia figlia in quel parco quasi tutti i giorni, li ritrovava sempre i suoi amichetti, io ritrovavo i miei pensieri,  i miei libri e Amelia, almeno così avevo deciso di chiamarla. Stabilito il nome le avevo anche affibbiato un’identità, la mia idea è che fosse una signora sola e che vivesse in una delle villette sopra la collina. Le sue origini provenivano certamente dal nord Europa,  da anni risiedeva nella nostra regione perché  da ragazza si era perdutamente innamorata del nostro paesaggio. Aveva avuto un compagno, ma questi era morto ormai da un  sacco di tempo e  l’aveva lasciata con  una casa piena di ricordi e una colonia felina  in continua evoluzione.  Ascoltava musica classica e le piaceva andare a teatro,  da giovane aveva studiato storia dell’arte e filosofia e per un periodo aveva  insegnato in una scuola per stranieri.  Si muoveva con grande grazia per cui ritenevo che avesse praticato danza classica per moltissimi anni. Si vestiva sempre con grande cura. Immaginavo che in casa sua non ci fosse un televisore, me la figuravo come una creatura senza tempo lontana dagli inquinamenti elettronici  della nostra epoca. Mi piaceva pensare che  venisse in quel giardino per ricaricarsi dell’energia dei bambini. Ero affascinata da quella donna delicata e sicuramente colta  fino al momento in cui  quel ragazzino le passò con le ruote della bici sopra i suoi piedi e lei gli staccò con un morso il naso in un istante. 
Edgar DegasL'étoile ou danseuse sur scène 1876-77

2 commenti:

Gianni P. ha detto...

Questo incubo ricorre ormai spesso nei tuoi sogni.
Svela la tua paura di scoprire, all'ultimo momento, dietro ad una maschera di dolcezza, rassicurazione e buon senso .... una spietatezza che ti stordisce e ti fa soffrire.
Spesso i mostri si travestono da angeli.
Non è solo cinismo ed interesse il loro.
E' autentica mostruosità.
Ma tu hai bisogno di credere che, da qualche parte nel mondo, ci sia qualcuno che ami ancora senza alcun tornaconto.
Insomma sogni ancora il principe azzurro.
E fai bene!
Perchè credo che il sogno sia l'unica libertà che ci sia rimasta.

sab ha detto...

Mi piace pensare che nessuno sia perfetto e mi piace giocare con l'idea dell'illusione. Creo donne meravigliose, io stessa mi c'innamoro e poi queste rivelano il loro lato oscuro spiazzandoti. Per il resto (e credo tu l'abbia capito bene) mi nutro d'ideali, ho la mia fede e lotto per prima cosa contro la mia oscurità.
Un abbraccio