sabato 20 novembre 2010

Irene


Lei guardava lui con i suoi occhi da cerbiatta smarrita, lui la fissava smanioso con quella strana smorfia alla  bocca: “ti mangio, ti mangiooo…”
Irene rimaneva impassibile sul letto con le lenzuola ingiallite.
Le cimici erano le sue coinquiline, le mancava anche la forza di scostarle e raccoglierle in un fazzoletto come faceva in un epoca lontana, non c’era il sapore della minima speranza nella sua bocca, solo  un gusto  acre di abbandono.
I giorni passavano ed erano tutti uguali, lui andava via la mattina alle 8 e alle 8 di sera rincasava, la salutava sempre con quel suo sorriso sdentato, le baciava i capelli radi e manifestava il desiderio di cibarsi di lei.
Un tempo Irene aveva avuto la forza di odiarlo, adesso gli appariva solo come un triste orologio che scandiva i ritmi del giorno, 8 e 8, questa era l’unica consapevolezza che aveva del suo tempo.
L’uomo l’amava a suo modo, si preoccupava per lei,  cercava di leggerle il giornale tutte le sere, di nutrirla,  di coccolarla come quando era bambina, lei rimaneva impassibile a lui e anche alla triste donnetta che si alternava all’uomo.
Via lui, entrava lei, scuoteva  un po’ i lenzuoli e non li cambiava mai, si lamentava della puzza di Irene, della puzza del sigaro di lui, del suo schifoso lavoro, della sua schifosa esistenza, le diceva : “Quanto sei fortunata ragazza che non devi fare niente, non sai quanto è dura la fuori” Questo lo ripeteva tutti i santissimi giorni e anche l’odio per questa signora poi divenne un ricordo  lontano.

Solo una volta ci fu un fremito, la possibilità di una svolta, un cambiamento, poi il pronto intervento della donnetta con le sue bestemmie aveva riportato tutto a quella insolita normalità.
La ragazza fino a qualche mese prima pregava in silenzio: “Se non muoio io almeno che muoia lui, non posso continuare così e non mi posso ribellare”, poi anche le sue implorazioni l’abbandonarono e la sua testa ebbe l’unico comando di scandire le ore  delle alternanze di quelle meste figure, di calcolare quanto un insetto poteva sostare al bordo della luce del neon, di quantificare quanti peti riusciva a fare  durante il giorno,  di resistere con gli occhi aperti a fissare  gli unici occhi che incrociavano i suoi.
L’uomo abbozzava sorrisi e le parlava di progetti futuri e di quanto erano stati bene in passato,  Irene continuava a guardarlo…così per  tanti mesi, così per tanti anni, lei prigioniera di lui, lui prigioniero di lei.



Gazzetta del Tirreno (edizione di Montreastico)
Uomo uccide la figlia di 26 anni e poi si suicida con un fucile da caccia. L’uomo N.F., vedovo ormai da 20 anni, era uno stimato capo operaio della fabbrica del luogo, puntuale tutti i giorni al lavoro, mai aveva dato segni di squilibrio e la gente del posto non aveva notato comportamenti strani negli ultimi tempi. Accudiva la figlia I. in coma vegetativo, a causa di un incidente d’auto, da cinque anni; fu lui stesso ad insistere, quando i medici non avevano lasciato speranze di ripresa, a riprendersela in casa. Non ha lasciato nessun biglietto, gli abitanti del paese sono ancora increduli di quanto sia successo.

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