Si faceva un gran male ascoltando quelle canzoni di continuo che le ricordavano un passato che non aveva mai avuto, che la trasportavano in viaggi mai fatti, in dimensioni mai conosciute, ma a lei piaceva soffrire. Insisteva nel suo masochismo, le pale dei mulini della sua mente viaggiavano a velocità incredibili. Sognava di tramonti nei luoghi dove il cielo fa all’amore con il mare o con le colline. Si avvolgeva solo di note come fossero una coperta per ripararsi dal freddo della sua solitudine.
Non aveva nemmeno il coraggio di cantare perché anche questo poteva disturbarla. Per la stessa ragione non voleva vedere nessuno perché aveva paura che qualcuno potesse distruggere i castelli delle sue illusioni. Era capace di essere chi le pareva, un’amante ferita, una ragazza che scopre l’amore, una donna lasciata, una femmina che fa impazzire di desiderio. Poteva vestire anche gli abiti di un uomo, di un bambino, la pelle e le piume di qualsiasi animale, aveva la possibilità di giocare con una vastissima gamma di sentimenti e sentirsi chi o cosa voleva.
Si sentiva viva quando era sotto quel mistico incantesimo, non avrebbe voluto che nutrirsi di questo.
Ma la vita la costringeva alla realtà, ad un lavoro che non amava, ad un ambiente che non era il suo, a sopportare della musica terribile nelle radio dei negozi e in ogni dove ci fosse un amplificatore pronto a vomitare note insulse che irritavano i suoi fragili nervi. Fu così che un giorno decise di farla finita con quella tortura e si chiuse nel suo laboratorio. Costruì un primo apparecchio in grado di neutralizzare alcune frequenze disturbatrici ma purtroppo era cinico e difettoso poiché troncava le parole d’amore in ogni canzone. Poi fabbricò una capsula per allontanare ogni interferenza molesta, ma anche questa si rivelò un fallimento perché sprovvista di servizi di primaria importanza per la sopravvivenza. Realizzò delle cuffie isolanti che trasmettevano solo le sue musiche preferite, ma le dimensioni di queste erano esagerate e le procuravano infiniti dolori alla cervicale.
Si dovette arrendere ad una vita fatta d’insulsi inquinamenti acustici, un’esistenza dove doveva per forza confrontarsi con altri e sentire voci irritanti che la perseguitavano in ogni dove.
Cercava di ovattarsi i padiglioni auricolari quando le era possibile, cercava di limitare le sue uscite.
Passò infiniti giorni in solitudine odiando le intrusioni sonore e chi le commetteva, non riusciva a trovare la felicità che la musica le dava perché ogni giorno la sua frustrazione rodeva anche i suoni e le parole più affascinanti.
Meditò persino il suicidio, ma non avendo avuto la sicurezza di che musica avrebbe trovato nell’aldilà respinse anche questa ipotesi.
Poi un giorno ebbe un illuminazione.
Fu così che si buttò in politica e divenne dittatrice, ci furono molti morti, molti prigionieri che cercarono di ribellarsi ma lei riuscì a collocarsi come comandante suprema obbligando tutti all’ascolto di melodie che lei imponeva sull’ormai inerme popolazione.
La cosa li per li funzionò, passarono dei mesi di vera gioia, ma poi sopravenne una strana inquietudine, quella musica tanto amata, una volta imposta con la forza, perse ogni dolce sapore.
Ormai era incastrata, non poteva dimettersi, non poteva cambiare le regole.
Ma ancora una volta le venne in aiuto la fortuna, i sovversivi l’assalirono e la ridussero in coma, venne depositata in un ospedale dove continuamente le facevano sentire i suoi cd preferiti, l’unico guaio erano le batterie quando si scaricavano perché lei non poteva cambiarle, ne chiedere aiuto.
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