Era il 1982, l’anno della mia prima prima superiore, l’anno in cui cantavamo a squarciagola “Un giorno credi” di Edoardo Bennato, avevo 14 anni e scrivevo sui banchi di scuola cose strampalate tipo: “voglio morire”. Sicuramente non ero la sola a scrivere deliri e idiozie. Gli adolescenti sono strani, sarà che nei loro corpi scorrono ormoni e brufoli come se piovesse, saranno i cambiamenti veloci nei loro fisici che fanno sentire ogni emozione amplificata e ogni sensazione travolgente.
Ero in una classe piena di ragazze, anzi di sole ragazze. Non finii neanche l’anno scolastico e molte compagne non le ho più riviste da quei tempi. Alcune le ho ritrovate su facebook e devo ammettere che sono diventate delle splendide donne. Ricordo poco di quell’epoca, non rammento gli insegnanti, ma ricordo benissimo che durante le ore di disegno, o nei tempi di attesa fra una materia e l’altra, cantavamo Bennato e ci sentivamo “a palla”. Eravamo praticamente delle bambine, ragazzine anni luce lontane dalle adolescenti di oggi, un giorno credi era una canzone troppo più grande di noi. In questi giorni ce l’ho in testa, sarà che è un periodo difficile per molti e che avverto un pesante senso di frustrazione e d’ingiustizia ... a questo punto non devi lasciare, qui la lotta è più dura ma tu, se ne prendi di santa ragione insisti di più, sei testardo questo è sicuro quindi ti puoi salvare ancora, metti tutta la forza che hai nei tuoi fragili nervi … cosa ne potevamo sapere noi a quei tempi?
A volte penso di non essere cresciuta poi molto, ci sono giorni in cui mi scopro ancora senza pelle, a volte mi sembra di sentire troppe cose in modo troppo forte. Quando ti alzi e ti senti distrutto fatti forza e vai incontro al tuo giorno, non tornar sui tuoi soliti passi, basterebbe un istante poi mi lascio trasportare dai ricordi e realizzo che non posso non essere grata alla vita per quello che ho avuto, comprese le mie piccole tribolazioni perché, se condivise, queste mi fanno prendere parte ad un’esistenza che altrimenti sarebbe stata più egoista e miserevole.
Non so che merito abbia una canzone del genere, eravamo praticamente bambine quando cantavamo queste parole, sono sicura che molte le hanno tutt'oggi impresse nel cuore e che forse, nei momenti un po’ turbolenti, si mettano a cantarle a squarciagola sentendo ancora quella potenza devastatrice che avevamo in adolescenza, quell’energia che ci fa alzare la testa e andare avanti, quella stessa forza che non ci farà mai sentire l’assurdo in persona, vecchie e cadenti. Non so spiegare questa emozione che sento adesso, so solo che somiglia ad un sentimento di fierezza che mi fa sorridere e piangere e che mi tocca il cuore.
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