Non c’è niente di più
bello al mondo degli occhi neri di una donna nera, di quello sguardo che come un cazzotto inaspettato ti sorprende stendendoti. Non so perché le
persone di colore siano più brave nel canto, ma lo sono al di là delle
stronzate sul razza. Forse hanno una conformazione fisica che fa in modo che i
loro risuonatori producano un effetto più bello, probabilmente è una questione
di corde, ma per me è qualcosa nei loro occhi, quell’accusa, quel loro
spiazzarti a colpi di amore, pienezza, rabbia, dignità. Ricerco il mistero di
queste voci cercando nelle loro iridi l’espressione della libertà conquistata,
della madre terra, della sofferenza, della grazia divina, amazing grace. Ascolto Donny Hathaway e Luther
Vandross, in loro percepisco questo sconcertante
sentimento, mi faccio consolare dalle loro voci in questa grigia mattina di un tempo incomprensibilmente coerente
con il grigio dei fatti. Mi faccio abbracciare da Aretha, dalla fede che a reso
divina Whitney come Mahalia e Etta. Ne convengo, nella mia leggera follia, che la
fede sia quella marcia in più che vada riscoperta nella musica e nel Dio che è
solo nostro, in Willy Wonka o lungo la strada del ritorno a casa di Dorothy da
Oz, nella nostra natura illuminata, nelle voci e negli occhi neri.
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