domenica 20 maggio 2012

A song for me


Non c’è niente di più bello al mondo degli occhi neri di una donna nera, di quello sguardo che  come un cazzotto inaspettato ti  sorprende stendendoti. Non so perché le persone di colore siano più brave nel canto, ma lo sono al di là delle stronzate sul razza. Forse hanno una conformazione fisica che fa in modo che i loro risuonatori producano un effetto più bello, probabilmente è una questione di corde, ma per me è qualcosa nei loro occhi, quell’accusa, quel loro spiazzarti a colpi di amore, pienezza, rabbia, dignità. Ricerco il mistero di queste voci cercando nelle loro iridi l’espressione della libertà conquistata, della madre terra, della sofferenza, della grazia divina, amazing grace.  Ascolto Donny Hathaway e Luther Vandross,  in loro percepisco questo sconcertante sentimento, mi faccio consolare dalle loro voci  in questa grigia mattina di un tempo incomprensibilmente coerente con il grigio dei fatti. Mi faccio abbracciare da Aretha, dalla fede che a reso divina Whitney come Mahalia e Etta. Ne convengo, nella mia leggera follia, che la fede sia quella marcia in più che vada riscoperta nella musica e nel Dio che è solo nostro, in Willy Wonka o lungo la strada del ritorno a casa di Dorothy da Oz, nella nostra natura illuminata, nelle voci e negli occhi neri. 


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