Quando ero piccola stavo in una casa che si affacciava strategicamente sul parco pubblico del paese. Mia madre ci osservava dal terrazzino e noi fratelli eravamo liberi di fare il giro dell’isolato per poter andare a giocare nel giardino. Erano gli anni 70, la strategia della tensione, i cattivi mettevano le bombe, il rapimento Moro, Andreotti con la sua scatola nera attaccata alla schiena, Pasolini ammazzato, le suore della mia scuola elementare che davano la colpa di tutto ai comunisti, la mia famiglia comunista, la CGIL di Lama, Berlinguer, Fanfani, la Casa del Popolo di pomeriggio e il circolo MCL la domenica mattina con il film per i bimbi che andavano alla messa e dopo di corsa si mangiava la pastina del Cosi in via Montebuoni. I miei ricordi sono quasi tutti tipicamente nostrani, gli odori mi riportano all’estati di gelsomino, le mani all’erba fresca nei vicini campi, la bocca il sapore delle tavolette di carrarmato, gli occhi rivedono il parco pieno di bandiere rosse, ma gli orecchi risentono dagli altoparlanti le musiche degli Inti Illimani. Questo gruppo con le loro voci, i loro flauti e le loro curiose chitarrine, invase il nostro paese e divenne presto anche la voce delle lotte del nostro popolo. Le loro musiche mi piacevano da impazzire. Non capivo una parola di quello che dicevano ma li sentivo dentro. Non c’era festa dell’Unità che non li usasse come colonna sonora, non c’era manifestazione che non gridasse: “El pueblo unido jamas sera vencido!”. Li ho visti varie volte in concerto, li rivedo e li risento sempre con grande emozione. Mi riportano ad un Italia più intensa, sarò retorica e puerile ma sul serio mi sembrava che i sentimenti fossero più semplici e che fosse normale battersi per il bene comune. Molti anni dopo capii che rimasero bloccati da noi per via dell’esilio causato della dittatura di Pinochet. Gli Inti Illimani sono sempre nel mio cuore, da grande ho capito le loro parole che spesso erano quelle di Victor Jara, uomo straordinario trucidato dai soldati di Pinochet, o dell’immensissima Violetta Parra. Parole di giustizia, solidarietà fra i popoli, libertà, calore umano, poesie di lotte e di amore sconfinato. Ho un enorme debito di gratitudine per l’estati del passato perché da quegli altoparlanti che risuonavano El Aparecido in seguito ho amato Mercedes Sosa, la musica, la letteratura, l’arte latinoamericana, dal Messico fino a Ushaia. Mi sono appassionata delle storie della Allende, di Márquez, della Serrano, delle poesie di Neruda traboccanti di eros, agape, amore per la giustizia e per la gente, dei quadri di Frida Kahlo. Ho conosciuto il Cile di Salvador Allende con il suo straordinario sogno socialista. Ho conosciuto El Che seguendolo con la fantasia sulle strade del continente a bordo della sua Poderosa fino alla sua tragica fine in Bolivia. Ho “sentito” le storie dei desaparecidos, ho visto poi paesi che hanno avuto o che hanno presidenti donne. Mi sono appassionata del cinema di Tabio e di quell’aurea surreale presente in moltissimi aspetti dell’arte latinoamericana. I miei piedi hanno potuto calpestare le terre di Argentina, Brasile, Paraguay e Cuba. Mi è sempre parso di ritrovare in questi luoghi la semplicità di sentimenti che avvertivo nella mia infanzia e che voglio ritrovare, soprattutto in me stessa.
Mio fratello Antonio, io, mia sorella Romina in braccio a mia zia Teresa |
2 commenti:
Sono sicuro che se tutti avessero ricordi come i tuoi (e come i miei) avremmo una umanità migliore.
Sono così preoccupati dal rincorrere il successo, la gloria, i soldi che non c'è altro spazio per i ricordi.
Temo che il cuore, per la maggioranza degli abitanti del pianeta, sia solo un motorino che serve a spingere il sangue.
Una pompa. Una piccola pompa. Un p.....o.
insomma!
Ciao.
Ricordi e una sana curiosità nel vedere cosa c'è dietro all'emozione che ti da una musica o una poesia.
Ti abbraccio fratello
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